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The Vaccines – Come On Age

17 Ago

Quando negli anni ’50 e soprattutto ’60 si definì quella che tutt’oggi è denominata “musica moderna” si è innescato quel meccanismo che, in alcuni ambiti, porta alla ciclicità di suoni e generi musicali. Il confine tra mancanza di originalità e riconoscimento intrinseco in essi col passare delle generazioni si è assottigliato sempre più, arrivando fino ad oggi e complicando non poco il compito di recensire “Come On Age”, il nuovo album dei “The Vaccines”.
Il disco arriva dopo poco più di un anno dall’esordio ufficiale e inevitabilmente (per età dei componenti della band, successo mediatico e mancanza di tempo) segue le sonorità del debutto: un album puramente “Made in the UK” che trasuda di gruppi del passato come Clash, Pixies, Blur e Libertines per citarne alcuni. Indubbiamente la maggior parte delle undici canzoni di “Come On Age” si lasciano ascoltare con piacere, ma la mancanza di personalità dell’album fa sì che se il genere non vi piace di certo non cambierete idea dopo l’ascolto, mentre in caso contrario c’è chi si lascia prendere dalla nostalgia osannandoli ed elevandoli a “salvatori della musica rock” e chi sperava di trovare qualcosa di nuovo restando però con l’amaro in bocca.
Eliminando buona parte della musica anglosassone degli ultimi 40 anni “Come On Age” sarebbe probabilmente l’album dell’anno (e non solo), ma per fortuna che l’inventiva è una dote non ancora scomparsa e da riconoscere come valore aggiunto. Personalmente spero che si prendano un po’ più di tempo per scrivere il terzo album, perché altrimenti ci troveremmo con un altro surrogato del debutto che a sua volta è un surrogato di altro.

Chiudendo gli occhi vi troverete: in un’auto parcheggiata sul ciglio di una strada nella periferia di una città inglese in una notte autunnale con poca gente in giro e con la radio che trasmette musica che vi piace ma che vi sembra musica “già sentita”.
Da Ascoltare: I Always Knew, Weirdo, Bad Mood
Voto: 7

Tracklisting:
01.No Hope 4:10
02.I Always Knew 3:34
03.Teenage Icon 3:05
04.All In Vain 3:52
05.Ghost Town 2:21
06.Aftershave Ocean 4:10
07.Weirdo 4:49
08.Bad Mood 3:06
09.Change Of Heart Pt.2 2:18
10.I Wish I Was A Girl 2:53
11.Lonely World 5:15

French Wives – Dream Of The Inbetween

16 Lug

Ho deciso di iniziare ad occuparmi di questo blog per vari motivi: la voglia di mettermi in gioco in un mondo che da sempre fa parte della mia vita, il desiderio di vedere le recensioni come per me dovrebbero essere scritte, ma soprattutto la gioia di poter far scoprire a chi mi segue band sconosciute e album con un’anima e con delle canzoni stupende.
Finalmente questo momento è arrivato. Perché “Dream Of The Inbetween” si candida ad essere uno degli album più belli dell’anno.
I French Wives sono una giovane band di Glasgow formata da quattro ragazzi e una ragazza (ed è colei che col violino aggiunge un’altra peculiarità al progetto); in rete non si trovano molte informazioni ufficiali su di loro, ma lasciando parlare il disco (al quale hanno lavorato 18 mesi prima di pubblicarlo) si capisce che hanno una grande dose di talento e in prospettiva la possibilità di diventare un gruppo di riferimento per la musica anglosassone e non solo. Nelle sonorità a metà fra rock e folk, che formano la linea guida principale del cd, si possono ricondurre alcuni passaggi delle canzoni ad altre band più famose come ad esempio Belle And Sebastian, The National e The Editors. L’album si lascia ascoltare con estremo piacere, rimanendo in testa sin dai primi ascolti e offrendo ai French Wives un notevole trampolino di lancio per la loro carriera. Tre i pezzi chiave di “Dream Of The Inbetween”: la gioiosa “Numbers”, l’emozionante “Back Breaker” e l’enfatica “Younger” (che insieme a “Numbers” si può scaricare gratuitamente sul loro sito ufficiale). Se devo muovere una critica nei loro confronti posso scrivere che non mi piace il passaggio di “Younger” (il cui ritornello cantato con una melodia diversa compone la breve “The Inbetween”) dove si sente che “It’s an experiment, it’s not a masterpiece”. Probabilmente per loro è tutto soltanto un esperimento, ma quello che ci hanno consegnato è a suo modo un piccolo capolavoro.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: in un pub stracolmo, con pinte su pinte portate ai tavoli e con questo cd che sovrasta il brusio generale della gente.

Da Ascoltare: Numbers, Back Breaker, Younger

Voto: 9


Tracklisting:
01.Modern Columns 4:16
02.Numbers 4:02
03.Back Breaker 4:43
04.The Inbetween 1:40
05.Me vs. Me 3:19
06.Sleep Tight 2:51
07.Halloween 4:25
08.Month Of Sundays 3:06
09.Younger 5:25
10.The Sickness 3:14

Cesare Cremonini – La Teoria Dei Colori

12 Lug

Scrivo questa recensione con consapevole ritardo rispetto alla data d’uscita del cd per un motivo preciso. Ero pronto a parlarne da tempo, ma pensavo di sbagliarmi. Volevo sbagliarmi. Tutto questo perché considero Cesare Cremonini come l’ultima vera risorsa di un certo spessore del mondo musicale italiano. Colui che può entrare definitivamente nel club dei “big”, che può far pensare di non essere rimasti solo con Jovanotti nel panorama nostrano. Per essere un artista del genere è necessario incidere non solo qualche buon singolo sporadicamente, ma un disco che nel suo insieme diventi imprescindibile per la storia della musica del belpaese. C’erano tutti i presupposti perché questo fosse “La Teoria dei Colori”: una lunga attesa dal suo predecessore (“Il Primo Bacio sulla Luna”, uscito nel 2008), un singolo per una raccolta ben riuscito (“Mondo”) ma soprattutto “ Il Comico”, brano servito a presentare l’album. Una canzone con una storia, con un’anima, ma soprattutto una canzone che rimane in testa alla gente.
“C’erano”, appunto. Perché “La Teoria dei Colori” non è niente di tutto ciò. È il classico “compitino”, fatto per non stare troppi anni fuori dal giro, per fare contenta la casa discografica, per dimostrare a tutti che, se Cremonini vuole impegnarsi davvero, ci sa fare. Ma il problema è che se il talento viene mostrato solo in una o due canzoni, è difficile apprezzare davvero l’album e considerare l’artista un vero Artista, con la “a” maiuscola. È per questo che ho aspettato a recensire questo disco: speravo di cogliere con il passare del tempo e con ulteriori ascolti qualcosa che speravo mi fosse sfuggito all’inizio. L’album sarebbe stato forse accettabile per un perfetto sconosciuto appena uscito da un reality show: un gran bel primo pezzo, la seconda traccia (“Una come te”) che si lascia ascoltare, un altro probabile singolo di successo nel disco (“L’uomo che viaggia tra le stelle”) e nel mezzo poca roba. Nessun’altra canzone che rimanga in mente per melodia o testi (eccezion fatta per “La nuova stella di Broadway” dove scimmiotta “New York New York”), i quali non offrono spunti alternativi e non provano a trattare tematiche diverse, magari più profonde e potenti (come ad esempio nel passato con “Padre Madre”), ma grondano miele come se coltivati in un campo di melensità e buonismo. La cosa che rattrista ulteriormente è la convinzione che in un panorama musicale meno piatto e scialbo di quello che abbiamo attualmente in Italia un disco del genere finirebbe presto nell’oblio.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: su una collina caramellata con la vostra ragazza accoccolati a leggere Vanity Fair avendo come unici argomenti le nuove coppie innamorate del jet set dove lui “ha finalmente messo la testa a posto smettendo di uscire con quella là” e lei “in passato ha sofferto troppo finalmente la vedo più serena”.

Da Ascoltare: Il Comico, Una come te, L’uomo che viaggia tra le stelle

Voto: 5

Tracklisting:

01.Il comico (Sai che risate) 4:17
02.Una come te 4:17
03.Stupido a chi? 4:07
04.L’uomo che viaggia fra le stelle 3:36
05.Non ti amo più 3:59
06.Amor mio 3:31
07.I love you 4:49
08.Ecco l’amore che cos’è 3:56
09.Tante belle cose 3:49
10.La nuova stella di Broadway 4:27
11.Il sole 4:41

Sigur Rós – Valtari

6 Lug

“Solenne, illustre; elevato, ricercato”. Questa è la definizione del termine “aulico”. Questa è la parola che mi basterebbe a descrivere il nuovo album dei Sigur Ros, “Valtari”. Dopo l’esperimento del precedente album “Með suð í eyrum við spilum endalaust” nel quale avevano strizzato l’occhio alla composizione di canzoni pop con una struttura standard (durata limitata per brani suddivisi in strofe e ritornelli) senza comunque perdere le proprie sonorità, la band islandese è tornata con un cd fatto in vecchio stile. Poche tracce, otto, tutte di lunghezza superiore ai cinque minuti.
E’ inutile soffermarsi sulla tecnica strumentale (che risulta eccelsa sin dal primo ascolto, raggiungendo in determinati punti picchi elegiaci), o sui testi (da sempre la band alterna l’islandese alla lingua inventata “Vonlenska”, testimonianza di come la voce del cantante Jònsi voglia essere un ulteriore parte musicale e poco più): le canzoni dei Sigur Ros sono fatte per emozionare. Sono fatte per la lentezza, sono fatte per dimenticare frenesia e stress, sono fatte per dedicare del tempo a sé stessi, sono fatte come strumenti di maieutica per sé stessi, sono fatte per dipingere quadri dentro le proprie palpebre quando si chiudono gli occhi. Credo che la loro peculiarità stia anche in questo: nessuno potrà mai creare un dipinto uguale a quello di un altro, facendo diventare personali ogni singolo episodio dell’album. E quando uno si lascia andare, oltre al vedere un splendido quadro sentirà anche i peli rizzarsi e gli occhi inumidirsi.

Chiudendo gli occhi vi troverete: in Islanda, di notte, con un geyser che esplode davanti a voi mentre ammirate l’aurora boreale squarciare il cielo

Da Ascoltare: Varúð (stavolta metto solo una traccia, la mia preferita in assoluto. Perché o sapete coltivare le vostre emozioni coi Sigur Ros e allora l’ascolto intero dell’album è terapeutico, oppure è inutile farvi l’elenco di canzoni da “provare”)

Voto: 9

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Tracklisting:

01.Ég Anda 6:15
02.Ekki Múkk 7:44
03.Varúð 6:36
04.Rembihnútur 5:05
05.Dauðalogn 6:36
06.Varðeldur 6:07
07.Valtari 8:18
08.Fjögur Píanó 7:50

Questo è il video ufficiale di Varúð. Per Valtari i Sigur Ros hanno ingaggiato dei registi dando loro un modesto budget per creare un video musicale abbinato ad ogni canzone dell’album. Qua potete trovare i videoclip rilasciati.

Serj Tankian – Harakiri

3 Lug

Cos’altro si può chiedere a un album fatto di canzoni che ti colpiscono per i riff e le armonie, per il timbro vocale di chi canta (perché armonico e perché inconfondibile) e per i testi che trattano diverse tematiche in maniera mai banale? Ecco, questo è quello che ho pensato quando ho finito l’ascolto di “Harakiri”, il terzo lavoro solista di Serj Tankian, frontman dei “System Of A Down”. Il suono delle undici tracce che compongono il cd, prodotto come i due precenti, dallo stesso Tankian, è la classica miscela di generi e spunti che contraddistinguono i suoi album. Si varia dal rock più aggressivo alla prima elettronica (come in “Deafening Silence”), dal punk allo “pseudo” mainstream.

La curiosità e particolarità di questo progetto è nel fatto che i brani sono stati scritti e concepiti in buona parte utilizzando un iPad: il cantante ha usato infatti alcune delle numerose “App” accessibili a tutti i possessori del famoso tablet marchiato Apple.

Si capisce sin dal primo ascolto come ogni singola canzone di “Harakiri” abbia un messaggio preciso; nel primo singolo “Figure It Out” attacca in maniera dura la politica in relazione alla situazione economica odierna, in “Butterfly” affronta il problema ambientale, in “Occupy Tears” parla di ipocrisia. Sul suo sito ufficiale Tankian ha presentato in un’unica frase attraverso un notevole gioco di parole ogni singola canzone.

Harakiri è un album che si lascia ascoltare e riascoltare nella sua interezza: non avrà un singolo trainante come “Empty Walls” o “Left Of Center”, ma forse è il più completo lavoro da solista che abbia finora inciso.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete:  in un cimitero abbandonato che a voi sembrerà maledettamente familiare.

Da Ascoltare: Cornucopia, Figure It Out, Occupied Tears, Weave On

Voto: 8

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Tracklisting:
01.Cornucopia 4:28
02.Figure It Out 2:52
03.Ching Chime 4:05
04.Butterfly 4:10
05.Harakiri 4:19
06.Occupied Tears 4:22
07.Deafening Silence 4:16
08.Forget Me Knot 4:26
09.Reality TV 4:09
10.Uneducated Democracy 3:59
11.Weave On 4:07

Liars – WIXIW

28 Giu

Sarà per la copertina, sarà per il video del primo singolo “No.1 Against The Rush” (favoloso), ma WIXIW (parola palindroma da leggersi semplicemente “Wish You”) dei Liars è un buon album che di notte assume una bellezza ancor maggiore. Questo nuovo lavoro del trio di Brooklyn non vive di episodi aggressivi e riff “hard” (“Brats” sembra più un’incursione nella Disco in chiave Punk), costituendo il proprio scheletro su basi elettroniche che in alcuni casi rendono le canzoni quasi ipnotiche (come nella title track e in “Flood to Flood”, la quale sembra uscita da un album di Tricky). Si capisce che i Liars hanno passato un sacco di tempo a ricercare i suoni che ora sono arrivati a noi, confezionando un lavoro quasi sperimentale, certamente degno di nota e che merita attenzione.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: sulla vostra macchina, alle due di notte, con una sigaretta in mano e coi vestiti stropicciati, fermi sul ciglio di una strada semi deserta e poco illuminata che costeggia la periferia di una grande città.

Da Ascoltare: No. 1 Against The Rush, WIXIW, Brats

Voto: 7

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Tracklisting:
1. The Exact Color Of Doubt 4:07
2. Octagon 4:38
3. No. 1 Against The Rush 5:10
4. A Ring On Every Finger 3:18
5. Ill Valley Prodigies 2:03
6. WIXIW 6:12
7. His And Mine Sensations 4:40
8. Flood To Flood 3:30
9. Who Is The Hunter 3:47
10. Brats 3:02
11. Annual Moon Words 2:37

Club Dogo – Noi siamo il club

25 Giu
C’era una volta il gruppo che rilanciava in maniera prepotente la scena rap italiana. Prima con le Sacre Scuole, poi senza Dargen D’Amico e la formazione dei Club Dogo e quindi con l’uscita di uno degli album più importanti di sempre dell’hip hop del Belpaese, “Mi Fist”. In quell’intreccio anarchico di fioriture letterarie e musicali i Dogo hanno costruito un impero di cui vedono i frutti commerciali adesso col primo posto in classifica del loro sesto e ultimo album “Noi siamo il club”. Commerciali appunto, perché l’album mira soprattutto a vendere e a trovare nuovi fan grazie a questo. Se l’indole dei titoli dei cd si è spostata pian piano da citazioni ricercate (“Mi Fist” è un omaggio al film “Tokyo Fist”) a delle specie di affermazioni di dominio in stile gangsta americano (“Dogocrazia”, “Che Bello Essere Noi” e appunto “Noi siamo il club”), il livello medio di testi e basi abbassatosi ulteriormente non giustifica questa loro presunta leadership. Il singolo apripista “Chissenefrega” è orecchiabile (a contrario del remix contenuto nella versione “Deluxe”), radiofonico, ma a parte la strofa iniziale di Jake La Furia non offre nessun’altra perla verbale costruendo la sua forza intorno al ritornello cantato dalla presunta cantante Maite. Nel singolo che dà il titolo al lavoro la strofa di Marracash spicca su tutte le altre, mentre la nuova featuring con J-Ax non è assolutamente al livello di quella precendete (“Brucia Ancora”). Tra incursioni nel dubstep (la moda del 2012) e collaborazioni scarne strappa un sorriso l’omaggio a PES con Giuliano Palma (anche se regala più emozioni la canzone di Dekasettimo). Ma l’album non vive più nella magia dei primi Dogo, i quali danno l’idea di essere una Ferrari che anziché essere tirata al limite in pista viene usata per essere parcheggiata davanti all’entrata del club e fare scena. Già, perché a quanto pare la strada della “Vita Loca” non è più importante, ora conta essere dentro al loro locale.
Chiudendo gli occhi vi ritroverete: in un qualsiasi locale di Milano, con un coca e havana in mano alla ricerca di una “tipa” giusta da puntare.
Da ascoltare: Noi siamo il club, PES, Se tu fossi me
Voto: 5
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Tracklist:
1.Meno felici ma più furbi (feat. Carlo Lucarelli) 0:31
2.Cattivi esempi 3:36
3.Chissenefrega (In discoteca) 3:16
4.Noi siamo il club (feat. Marracash) 3:58
5.Niente e’ impossibile (feat. Zuli) 3:41
6.Erba del diavolo (feat. Datura) 3:48
7.Ciao ciao 3:21
8.Ragazzo della piazza (feat. Ensi) 4:55
9.Sangue blu (feat. Jax) 3:54
10.P.E.S. (feat. Giuliano Palma) 3:48
11.Tutto ciò che ho (feat. Il Cile) 3:39
12.Se non mi trovi (feat. Emiliano Pepe) 3:02
13.Collassato 4:11
14.La fine del mondo (feat. Power Francers) 3:08
15.Se tu fossi me 4:02
16.Chissenefrega (In discoteca) [2nd Roof Remix] 3:19

The Smashing Pumpkins – Oceania

19 Giu

Devo ammetterlo: avevo perso di vista gli “Smashing”. Dopo parecchi anni travagliati fatti di separazioni, di progetti decisamente poco riusciti (vedi Zwan), dopo aver atteso 7 anni per un album decisamente mediocre come Zeitgeist, ai quali sarebbe stato forse preferibile il nulla, Billy Corgan nel 2009 si era messo in testa di distribuire la propria musica gratuitamente ed indipendentemente sul proprio sito. L’esperimento è stato interrotto l’anno scorso, pezzi memorabili non ce ne sono stati (l’effetto mediatico-commerciale procurato da “In Rainbows” dei Radiohead è irripetibile per qualità della musica e per la novità che ha saputo portare nello scarno mercato discografico di qualche anno fa) e si è deciso di registrare questo Oceania, uscito adesso dopo essere rimasto nel cassetto per quasi un anno (il mixaggio delle tracce è finito a settembre 2011). L’attesa è stata premiata: tutto il percorso di questi ultimi anni è servito a ritrovare tracce dei vecchi Smashing Pumpkins. Il suono e la filosofia nel proporre musica sono cambiati parecchio (come in Pale Horse), ma in alcuni brani sembra di tornare indietro nel tempo (sentire Panopticon). Il disco, una sorta di concept album, vibra nel mood di Teagarden by Kaleidyscope, ma sembra riuscire ad uscirne dall’anonimato, riportando Corgan e soci ad un’identità coerente con quello che sono stati negli anni 90.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: sulla vostra macchina, di sera, con i lampioni che illuminano la strada che vi sta portando a una festa in un casolare sperduto

Da Ascoltare: Quasar, Panopticon, The Celestials, Oceania, Glissandra

Voto: 7.5

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Tracklisting:
01.Quasar 04:56
02.Panopticon 03:52
03.The Celestials 03:57
04.Violet Rays 04:19
05.My Love is Winter 03:32
06.One Diamond, One Heart 03:50
07.Pinwheels 05:44
08.Oceania 09:06
09.Pale Horse 04:37
10.The Chimera 04:16
11.Glissandra 04:07
12.Inkless 03:08
13.Wildflower 04:44

Non è ancora stato rilasciato alcun video sui canali ufficiali di youtube (e non è ancora stato lanciato alcun singolo promozionale). Per il momento si può ascoltare l’album in streaming sul loro sito

Linkin Park – Living Things

17 Giu

Prendete una band che vi ha impressionato col suo album d’esordio oltre 12 anni fa. Una di quelle che sin dal primo ascolto vi ha fatto pulsare timpani e corpo e che il cd si lasciava passare più e più volte. Bene, adesso immaginatevela ai giorni d’oggi, dopo aver suonato inciso provato sperimentato aver gestito i successi (molti) e i flop (pochi): il risultato non sarebbe poi tanto diverso da Living Things. Curato dallo stesso Shinoda e da Rick Rubin a livello di produzione, l’album si lascia vivere perché rapido (40 minuti per 12 tracce) ma soprattutto perché, senza tanti giri di parole, è fatto semplicemente bene. Tra singoli presenti e papabili futuri (Burn It Down, In My Remains, Lost In The Echo), canzoni “picchia duro” (Victimized), lenti immancabili (Castle Of Glass, Roads Untraveled), l’evoluzione del gruppo americano fa tendere l’ago della bilancia tra rock ed elettronica più verso l’ultima parte. I fan dei Linkin Prak non rimarranno affatto delusi. Chi li ha sempre e comunque apprezzati pur mantenendo le distanze avrà l’occasione di riscoprirli. Gli immancabili “haters” troveranno ancora qualche motivazione poco plausibile per gettare fango sopra questo lavoro davvero ottimo, ma la realtà è che una volta che un’artista mostra di avere talento basta ritrovare la giusta alchimia per farlo splendere di nuovo. E con loro quest’anno occorreranno i vostri occhiali da sole.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: nella Desert Valley, cielo terso, caldo, con un muro di amplificatori dietro di voi che pompa a palla il cd.

Da Ascoltare: Lost In The Echo, In My Remains, Burn It Down, Castle Of Glass, Victimized, Roads Untraveled

Voto: 8.5

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Tracklist:

01.Lost In The Echo 3:24
02.In My Remains 3:19
03.Burn It Down 3:51
04.Lies Greed Misery 2:27
05.I’ll Be Gone 3:30
06.Castle Of Glass 3:23
07.Victimized 1:51
08.Roads Untraveled 3:44
09.Skin To Bone 2:48
10.Until It Breaks 3:47
11.Tinfoil 1:02
12.Powerless 3:37

Grimes – Visions

14 Giu

Claire Boucher, ossia la nostra canadese Grimes, è una di quelle ragazze che vedo, ascolto, osservo e, al di là del fatto che fisicamente possa piacere o meno, dà l’idea di una che se ti rapisce cuore e anima ti porta dove vuole lei. E in questo disco lo fa attraverso un mix tra pop ed elettronica a volte solare (soprattutto nella prima parte del disco), a volte cupo (stavolta nella seconda parte), ma mai banale. Si crea una sorta di misticismo ascoltando il lavoro per intero, il che rende l’album camaleontico: un contenitore di singoli da radiodiffusione o un’opera con un ego a sè stante. Grimes insomma ci dimostra che non è alle prime armi (è il suo quarto lavoro in un nemmeno due anni), che è anche pronta al grande salto con un ipotetico prossimo lavoro e che si impegna a far viaggiare la mente di chi la ascolta. Con ottimi risultati.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: su una spiaggia californiana, alle sei di mattina, col sole che arriva da dietro di voi e con i primi pickup dei surfisti che arrivano di fianco a voi.

Da Ascoltare: Oblivion, Genesis, Skin

Voto: 7.5

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Tracklist:

01. Infinite Love Without Fulfillment 1:36
02. Genesis 4:15
03. Oblivion 4:12
04. Eight 1:48
05. Circumambient 3:43
06. Vowels = Space and Time 4:21
07. Visiting Statue 1:59
08. Be a Body (侘寂) 4:20
09. Colour of Moonlight (Antiochus) (Feat. Doldrums) 4:00
10. Symphonia IX (My Wait Is U)” 4:53
11. Nightmusic (featuring Majical Cloudz) 5:03
12. Skin 6:09
13. Know the Way (Outro) 1:45