The Vaccines – Come On Age

17 Ago

Quando negli anni ’50 e soprattutto ’60 si definì quella che tutt’oggi è denominata “musica moderna” si è innescato quel meccanismo che, in alcuni ambiti, porta alla ciclicità di suoni e generi musicali. Il confine tra mancanza di originalità e riconoscimento intrinseco in essi col passare delle generazioni si è assottigliato sempre più, arrivando fino ad oggi e complicando non poco il compito di recensire “Come On Age”, il nuovo album dei “The Vaccines”.
Il disco arriva dopo poco più di un anno dall’esordio ufficiale e inevitabilmente (per età dei componenti della band, successo mediatico e mancanza di tempo) segue le sonorità del debutto: un album puramente “Made in the UK” che trasuda di gruppi del passato come Clash, Pixies, Blur e Libertines per citarne alcuni. Indubbiamente la maggior parte delle undici canzoni di “Come On Age” si lasciano ascoltare con piacere, ma la mancanza di personalità dell’album fa sì che se il genere non vi piace di certo non cambierete idea dopo l’ascolto, mentre in caso contrario c’è chi si lascia prendere dalla nostalgia osannandoli ed elevandoli a “salvatori della musica rock” e chi sperava di trovare qualcosa di nuovo restando però con l’amaro in bocca.
Eliminando buona parte della musica anglosassone degli ultimi 40 anni “Come On Age” sarebbe probabilmente l’album dell’anno (e non solo), ma per fortuna che l’inventiva è una dote non ancora scomparsa e da riconoscere come valore aggiunto. Personalmente spero che si prendano un po’ più di tempo per scrivere il terzo album, perché altrimenti ci troveremmo con un altro surrogato del debutto che a sua volta è un surrogato di altro.

Chiudendo gli occhi vi troverete: in un’auto parcheggiata sul ciglio di una strada nella periferia di una città inglese in una notte autunnale con poca gente in giro e con la radio che trasmette musica che vi piace ma che vi sembra musica “già sentita”.
Da Ascoltare: I Always Knew, Weirdo, Bad Mood
Voto: 7

Tracklisting:
01.No Hope 4:10
02.I Always Knew 3:34
03.Teenage Icon 3:05
04.All In Vain 3:52
05.Ghost Town 2:21
06.Aftershave Ocean 4:10
07.Weirdo 4:49
08.Bad Mood 3:06
09.Change Of Heart Pt.2 2:18
10.I Wish I Was A Girl 2:53
11.Lonely World 5:15

Top 10 – Luglio 2012

20 Lug

Eccoci al primo appuntamento con la Top10 mensile di Apapaia. Ogni mese farò una classifica dei dieci brani più ascoltati tra le ultime uscite (recensite e non!).  E’ inutile prendersi in giro e mettere solo le canzoni più alternative e interessanti: la mia idea è quella di inserire anche canzoni commerciali o comunque di ogni genere.

E le vostre classifiche come sono strutturate?


#10 Chester French – Black Girls

#9 Wallis Bird – Encore

#8 Soft Swells – Put It On The Line

#7 Kylie Minogue – Timebomb

#6 Serj Tankian – Figure It Out

#5 Noel Gallagher’s High Flying Birds – Everybody’s On The Run

#4 Linkin Park – In My Remains

#3 The Killers – Runaways

#2 Muse – Survival

#1 French Wives – Younger

French Wives – Dream Of The Inbetween

16 Lug

Ho deciso di iniziare ad occuparmi di questo blog per vari motivi: la voglia di mettermi in gioco in un mondo che da sempre fa parte della mia vita, il desiderio di vedere le recensioni come per me dovrebbero essere scritte, ma soprattutto la gioia di poter far scoprire a chi mi segue band sconosciute e album con un’anima e con delle canzoni stupende.
Finalmente questo momento è arrivato. Perché “Dream Of The Inbetween” si candida ad essere uno degli album più belli dell’anno.
I French Wives sono una giovane band di Glasgow formata da quattro ragazzi e una ragazza (ed è colei che col violino aggiunge un’altra peculiarità al progetto); in rete non si trovano molte informazioni ufficiali su di loro, ma lasciando parlare il disco (al quale hanno lavorato 18 mesi prima di pubblicarlo) si capisce che hanno una grande dose di talento e in prospettiva la possibilità di diventare un gruppo di riferimento per la musica anglosassone e non solo. Nelle sonorità a metà fra rock e folk, che formano la linea guida principale del cd, si possono ricondurre alcuni passaggi delle canzoni ad altre band più famose come ad esempio Belle And Sebastian, The National e The Editors. L’album si lascia ascoltare con estremo piacere, rimanendo in testa sin dai primi ascolti e offrendo ai French Wives un notevole trampolino di lancio per la loro carriera. Tre i pezzi chiave di “Dream Of The Inbetween”: la gioiosa “Numbers”, l’emozionante “Back Breaker” e l’enfatica “Younger” (che insieme a “Numbers” si può scaricare gratuitamente sul loro sito ufficiale). Se devo muovere una critica nei loro confronti posso scrivere che non mi piace il passaggio di “Younger” (il cui ritornello cantato con una melodia diversa compone la breve “The Inbetween”) dove si sente che “It’s an experiment, it’s not a masterpiece”. Probabilmente per loro è tutto soltanto un esperimento, ma quello che ci hanno consegnato è a suo modo un piccolo capolavoro.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: in un pub stracolmo, con pinte su pinte portate ai tavoli e con questo cd che sovrasta il brusio generale della gente.

Da Ascoltare: Numbers, Back Breaker, Younger

Voto: 9


Tracklisting:
01.Modern Columns 4:16
02.Numbers 4:02
03.Back Breaker 4:43
04.The Inbetween 1:40
05.Me vs. Me 3:19
06.Sleep Tight 2:51
07.Halloween 4:25
08.Month Of Sundays 3:06
09.Younger 5:25
10.The Sickness 3:14

Cesare Cremonini – La Teoria Dei Colori

12 Lug

Scrivo questa recensione con consapevole ritardo rispetto alla data d’uscita del cd per un motivo preciso. Ero pronto a parlarne da tempo, ma pensavo di sbagliarmi. Volevo sbagliarmi. Tutto questo perché considero Cesare Cremonini come l’ultima vera risorsa di un certo spessore del mondo musicale italiano. Colui che può entrare definitivamente nel club dei “big”, che può far pensare di non essere rimasti solo con Jovanotti nel panorama nostrano. Per essere un artista del genere è necessario incidere non solo qualche buon singolo sporadicamente, ma un disco che nel suo insieme diventi imprescindibile per la storia della musica del belpaese. C’erano tutti i presupposti perché questo fosse “La Teoria dei Colori”: una lunga attesa dal suo predecessore (“Il Primo Bacio sulla Luna”, uscito nel 2008), un singolo per una raccolta ben riuscito (“Mondo”) ma soprattutto “ Il Comico”, brano servito a presentare l’album. Una canzone con una storia, con un’anima, ma soprattutto una canzone che rimane in testa alla gente.
“C’erano”, appunto. Perché “La Teoria dei Colori” non è niente di tutto ciò. È il classico “compitino”, fatto per non stare troppi anni fuori dal giro, per fare contenta la casa discografica, per dimostrare a tutti che, se Cremonini vuole impegnarsi davvero, ci sa fare. Ma il problema è che se il talento viene mostrato solo in una o due canzoni, è difficile apprezzare davvero l’album e considerare l’artista un vero Artista, con la “a” maiuscola. È per questo che ho aspettato a recensire questo disco: speravo di cogliere con il passare del tempo e con ulteriori ascolti qualcosa che speravo mi fosse sfuggito all’inizio. L’album sarebbe stato forse accettabile per un perfetto sconosciuto appena uscito da un reality show: un gran bel primo pezzo, la seconda traccia (“Una come te”) che si lascia ascoltare, un altro probabile singolo di successo nel disco (“L’uomo che viaggia tra le stelle”) e nel mezzo poca roba. Nessun’altra canzone che rimanga in mente per melodia o testi (eccezion fatta per “La nuova stella di Broadway” dove scimmiotta “New York New York”), i quali non offrono spunti alternativi e non provano a trattare tematiche diverse, magari più profonde e potenti (come ad esempio nel passato con “Padre Madre”), ma grondano miele come se coltivati in un campo di melensità e buonismo. La cosa che rattrista ulteriormente è la convinzione che in un panorama musicale meno piatto e scialbo di quello che abbiamo attualmente in Italia un disco del genere finirebbe presto nell’oblio.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: su una collina caramellata con la vostra ragazza accoccolati a leggere Vanity Fair avendo come unici argomenti le nuove coppie innamorate del jet set dove lui “ha finalmente messo la testa a posto smettendo di uscire con quella là” e lei “in passato ha sofferto troppo finalmente la vedo più serena”.

Da Ascoltare: Il Comico, Una come te, L’uomo che viaggia tra le stelle

Voto: 5

Tracklisting:

01.Il comico (Sai che risate) 4:17
02.Una come te 4:17
03.Stupido a chi? 4:07
04.L’uomo che viaggia fra le stelle 3:36
05.Non ti amo più 3:59
06.Amor mio 3:31
07.I love you 4:49
08.Ecco l’amore che cos’è 3:56
09.Tante belle cose 3:49
10.La nuova stella di Broadway 4:27
11.Il sole 4:41

20 canzoni da ascoltare in macchina d’estate

9 Lug
Sono uno che vive con la musica in macchina. Quando non ho un cd nuovo da ascoltare o quando non sono fissato sui singoli del momento, mi piace avere la musica giusta da ascoltare in ogni determinata occasione. Una di queste occasioni, forse la più classica, è la playlist giusta che faccia da accompagnamento ai viaggi in auto estivi, che siano lunghi o brevi, che sia il tragitto per andare in piscina o le interminabili ore per raggiungere il mare. Insomma, la musica giusta da ascoltare, da soli o in compagnia, con i finestrini abbassati.
Ho fatto una selezione di 20 pezzi, senza considerare quelle più famose e scontate. Ho preferito quelle che, secondo me, sono delle vere piccole perle, che a volte corrono il rischio di andare perse. Forse alcuni di voi le conosceranno già oppure conosceranno solo il gruppo e non la canzone o magari non conosceranno nè l’una nè l’altro… insomma questa playlist è dedicata a tutti voi, nella speranza di regalarvi l’occasione di scoprire qualche pezzo nuovo.
  1. The Thrills – Big Sur. Perché è solare, allegra, decisamente orecchiabile. E perché “emana” immagini di strade californiane, di quelle sulla costa da fare con la cabrio –
  2. Red Hot Chili Peppers – Did I Let You Know. Finestrini abbassati, macchina che scorre in mezzo a campi di grano, e questa canzone. –
  3. The Strokes – Razorblade. Il riff su cui è costruito questo pezzo per me è estate allo stato puro. –
  4. Robbie Williams – Strong. Perché il singolo era stato rilasciato in estate e perché è una di quelle canzoni che si conoscono e si lasciano cantare. E poi perché è bella, naturalmente! –
  5. Oasis – Cast No Shadows. Ce ne sarebbero state molte altre degli Oasis, ma di certo più conosciute di questa. Questa ascoltata quando il sole sta per tramontare è “totale”. –
  6. Al Stewart – Year Of The Cat. Per me è un classico dei viaggi lunghi in macchina. –
  7. America – Ventura Highway. Perché incarna il sogno americano degli anni 60-70. –
  8. The BPA feat Emmi The Great – Seattle. Norman Cook in passato ci ha regalato questa perla che è perfetta per questi momenti. –
  9. Interpol – Heinrich Maneuver. Solitamente associo gli Interpol ai mesi freddi dell’anno, ma questa canzone ho imparato ad apprezzarla durante un viaggio estivo in Portogallo. –
  10. Peter, Bjorn & John – Young Folks. Una delle prime canzoni che ho aggiunto a questa playlist. –
  11. The Killers – Smile Like You Mean It. Col fatto che loro sono di Las Vegas sento le loro canzoni immaginando di ascoltarle mentre guido in mezzo al deserto del Nevada. –
  12. Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Titch – Hold Tight. Canzone scoperta grazie a Tarantino (un mago anche nel creare playlist per I suoi film); ho messo questa perchè meno nota rispetto ad altre. –
  13. Eagles – Take It Easy. Perché non c’è solo “Hotel California” da ascoltare in macchina! –
  14. Jarabe De Palo – Grita. Perché l’estate richiama un sacco lo spagnolo e i paesi latini, e perché questa canzone è uno dei tanti capolavori che compongono il loro album d’esordio. –
  15. Stereophonics – Dakota. Il sound è estivo, il testo è notevole, loro sono bravi. Immancabile. –
  16. Foo Fighters – Times Like These. Non credo esista qualcuno che non la conosca, e probabilmente compare già in molte playlist. Mi sentivo in dovere di metterla nel caso ci sia  ancora qualche “sprovveduto”. –
  17. Puddle Of Mudd – Spin You Around. La prima volta che ascoltai questo cd ero in spiaggia. Non è un caso che siano molto amati dai surfisti californiani comunque. –
  18. Arctic Monkeys – The Hellcat Spangled Shalalala. Scritta dale “scimmie” nella loro permanenza americana; per me il riff del ritornello è venuto fuori mentre giravano per le strade del Nevada dove erano a registrare. –
  19. Canned Heat – On The Road Again. Altra perla appartenente al passato che può essere una sorpresa per molti. –
  20. Supertramp – Breakfast in America. Perché è la canzone per antonomasia da viaggio, perché una cover gli stava togliendo la sua bellezza effettiva, e perché (purtroppo) c’è gente che non sa chi sono i Supertramp. –

Sigur Rós – Valtari

6 Lug

“Solenne, illustre; elevato, ricercato”. Questa è la definizione del termine “aulico”. Questa è la parola che mi basterebbe a descrivere il nuovo album dei Sigur Ros, “Valtari”. Dopo l’esperimento del precedente album “Með suð í eyrum við spilum endalaust” nel quale avevano strizzato l’occhio alla composizione di canzoni pop con una struttura standard (durata limitata per brani suddivisi in strofe e ritornelli) senza comunque perdere le proprie sonorità, la band islandese è tornata con un cd fatto in vecchio stile. Poche tracce, otto, tutte di lunghezza superiore ai cinque minuti.
E’ inutile soffermarsi sulla tecnica strumentale (che risulta eccelsa sin dal primo ascolto, raggiungendo in determinati punti picchi elegiaci), o sui testi (da sempre la band alterna l’islandese alla lingua inventata “Vonlenska”, testimonianza di come la voce del cantante Jònsi voglia essere un ulteriore parte musicale e poco più): le canzoni dei Sigur Ros sono fatte per emozionare. Sono fatte per la lentezza, sono fatte per dimenticare frenesia e stress, sono fatte per dedicare del tempo a sé stessi, sono fatte come strumenti di maieutica per sé stessi, sono fatte per dipingere quadri dentro le proprie palpebre quando si chiudono gli occhi. Credo che la loro peculiarità stia anche in questo: nessuno potrà mai creare un dipinto uguale a quello di un altro, facendo diventare personali ogni singolo episodio dell’album. E quando uno si lascia andare, oltre al vedere un splendido quadro sentirà anche i peli rizzarsi e gli occhi inumidirsi.

Chiudendo gli occhi vi troverete: in Islanda, di notte, con un geyser che esplode davanti a voi mentre ammirate l’aurora boreale squarciare il cielo

Da Ascoltare: Varúð (stavolta metto solo una traccia, la mia preferita in assoluto. Perché o sapete coltivare le vostre emozioni coi Sigur Ros e allora l’ascolto intero dell’album è terapeutico, oppure è inutile farvi l’elenco di canzoni da “provare”)

Voto: 9

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Tracklisting:

01.Ég Anda 6:15
02.Ekki Múkk 7:44
03.Varúð 6:36
04.Rembihnútur 5:05
05.Dauðalogn 6:36
06.Varðeldur 6:07
07.Valtari 8:18
08.Fjögur Píanó 7:50

Questo è il video ufficiale di Varúð. Per Valtari i Sigur Ros hanno ingaggiato dei registi dando loro un modesto budget per creare un video musicale abbinato ad ogni canzone dell’album. Qua potete trovare i videoclip rilasciati.

Serj Tankian – Harakiri

3 Lug

Cos’altro si può chiedere a un album fatto di canzoni che ti colpiscono per i riff e le armonie, per il timbro vocale di chi canta (perché armonico e perché inconfondibile) e per i testi che trattano diverse tematiche in maniera mai banale? Ecco, questo è quello che ho pensato quando ho finito l’ascolto di “Harakiri”, il terzo lavoro solista di Serj Tankian, frontman dei “System Of A Down”. Il suono delle undici tracce che compongono il cd, prodotto come i due precenti, dallo stesso Tankian, è la classica miscela di generi e spunti che contraddistinguono i suoi album. Si varia dal rock più aggressivo alla prima elettronica (come in “Deafening Silence”), dal punk allo “pseudo” mainstream.

La curiosità e particolarità di questo progetto è nel fatto che i brani sono stati scritti e concepiti in buona parte utilizzando un iPad: il cantante ha usato infatti alcune delle numerose “App” accessibili a tutti i possessori del famoso tablet marchiato Apple.

Si capisce sin dal primo ascolto come ogni singola canzone di “Harakiri” abbia un messaggio preciso; nel primo singolo “Figure It Out” attacca in maniera dura la politica in relazione alla situazione economica odierna, in “Butterfly” affronta il problema ambientale, in “Occupy Tears” parla di ipocrisia. Sul suo sito ufficiale Tankian ha presentato in un’unica frase attraverso un notevole gioco di parole ogni singola canzone.

Harakiri è un album che si lascia ascoltare e riascoltare nella sua interezza: non avrà un singolo trainante come “Empty Walls” o “Left Of Center”, ma forse è il più completo lavoro da solista che abbia finora inciso.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete:  in un cimitero abbandonato che a voi sembrerà maledettamente familiare.

Da Ascoltare: Cornucopia, Figure It Out, Occupied Tears, Weave On

Voto: 8

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Tracklisting:
01.Cornucopia 4:28
02.Figure It Out 2:52
03.Ching Chime 4:05
04.Butterfly 4:10
05.Harakiri 4:19
06.Occupied Tears 4:22
07.Deafening Silence 4:16
08.Forget Me Knot 4:26
09.Reality TV 4:09
10.Uneducated Democracy 3:59
11.Weave On 4:07

Liars – WIXIW

28 Giu

Sarà per la copertina, sarà per il video del primo singolo “No.1 Against The Rush” (favoloso), ma WIXIW (parola palindroma da leggersi semplicemente “Wish You”) dei Liars è un buon album che di notte assume una bellezza ancor maggiore. Questo nuovo lavoro del trio di Brooklyn non vive di episodi aggressivi e riff “hard” (“Brats” sembra più un’incursione nella Disco in chiave Punk), costituendo il proprio scheletro su basi elettroniche che in alcuni casi rendono le canzoni quasi ipnotiche (come nella title track e in “Flood to Flood”, la quale sembra uscita da un album di Tricky). Si capisce che i Liars hanno passato un sacco di tempo a ricercare i suoni che ora sono arrivati a noi, confezionando un lavoro quasi sperimentale, certamente degno di nota e che merita attenzione.

Chiudendo gli occhi vi ritroverete: sulla vostra macchina, alle due di notte, con una sigaretta in mano e coi vestiti stropicciati, fermi sul ciglio di una strada semi deserta e poco illuminata che costeggia la periferia di una grande città.

Da Ascoltare: No. 1 Against The Rush, WIXIW, Brats

Voto: 7

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Tracklisting:
1. The Exact Color Of Doubt 4:07
2. Octagon 4:38
3. No. 1 Against The Rush 5:10
4. A Ring On Every Finger 3:18
5. Ill Valley Prodigies 2:03
6. WIXIW 6:12
7. His And Mine Sensations 4:40
8. Flood To Flood 3:30
9. Who Is The Hunter 3:47
10. Brats 3:02
11. Annual Moon Words 2:37

Club Dogo – Noi siamo il club

25 Giu
C’era una volta il gruppo che rilanciava in maniera prepotente la scena rap italiana. Prima con le Sacre Scuole, poi senza Dargen D’Amico e la formazione dei Club Dogo e quindi con l’uscita di uno degli album più importanti di sempre dell’hip hop del Belpaese, “Mi Fist”. In quell’intreccio anarchico di fioriture letterarie e musicali i Dogo hanno costruito un impero di cui vedono i frutti commerciali adesso col primo posto in classifica del loro sesto e ultimo album “Noi siamo il club”. Commerciali appunto, perché l’album mira soprattutto a vendere e a trovare nuovi fan grazie a questo. Se l’indole dei titoli dei cd si è spostata pian piano da citazioni ricercate (“Mi Fist” è un omaggio al film “Tokyo Fist”) a delle specie di affermazioni di dominio in stile gangsta americano (“Dogocrazia”, “Che Bello Essere Noi” e appunto “Noi siamo il club”), il livello medio di testi e basi abbassatosi ulteriormente non giustifica questa loro presunta leadership. Il singolo apripista “Chissenefrega” è orecchiabile (a contrario del remix contenuto nella versione “Deluxe”), radiofonico, ma a parte la strofa iniziale di Jake La Furia non offre nessun’altra perla verbale costruendo la sua forza intorno al ritornello cantato dalla presunta cantante Maite. Nel singolo che dà il titolo al lavoro la strofa di Marracash spicca su tutte le altre, mentre la nuova featuring con J-Ax non è assolutamente al livello di quella precendete (“Brucia Ancora”). Tra incursioni nel dubstep (la moda del 2012) e collaborazioni scarne strappa un sorriso l’omaggio a PES con Giuliano Palma (anche se regala più emozioni la canzone di Dekasettimo). Ma l’album non vive più nella magia dei primi Dogo, i quali danno l’idea di essere una Ferrari che anziché essere tirata al limite in pista viene usata per essere parcheggiata davanti all’entrata del club e fare scena. Già, perché a quanto pare la strada della “Vita Loca” non è più importante, ora conta essere dentro al loro locale.
Chiudendo gli occhi vi ritroverete: in un qualsiasi locale di Milano, con un coca e havana in mano alla ricerca di una “tipa” giusta da puntare.
Da ascoltare: Noi siamo il club, PES, Se tu fossi me
Voto: 5
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Tracklist:
1.Meno felici ma più furbi (feat. Carlo Lucarelli) 0:31
2.Cattivi esempi 3:36
3.Chissenefrega (In discoteca) 3:16
4.Noi siamo il club (feat. Marracash) 3:58
5.Niente e’ impossibile (feat. Zuli) 3:41
6.Erba del diavolo (feat. Datura) 3:48
7.Ciao ciao 3:21
8.Ragazzo della piazza (feat. Ensi) 4:55
9.Sangue blu (feat. Jax) 3:54
10.P.E.S. (feat. Giuliano Palma) 3:48
11.Tutto ciò che ho (feat. Il Cile) 3:39
12.Se non mi trovi (feat. Emiliano Pepe) 3:02
13.Collassato 4:11
14.La fine del mondo (feat. Power Francers) 3:08
15.Se tu fossi me 4:02
16.Chissenefrega (In discoteca) [2nd Roof Remix] 3:19

Editoriale #1 – “Arrivederci, Ligabue!”

21 Giu

In questi giorni sono stati resi i noti i dati ufficiali relativi agli eventi di musica live del 2011 nel nostro Paese e una cosa mi ha colpito in particolar modo: il “re dei live” è stato Ligabue, con un incasso di ben 5 milioni di Euro grazie al concerto-evento di Campovolo. Ho pensato a quali sono stati gli artisti che negli ultimi anni hanno ottenuto i maggiori incassi a livello globale e oggettivamente sono cantanti, musicisti o gruppi divenuti col passare del tempo vere e proprie Icone musicali. Basti pensare ai Rolling Stones, agli U2, a Madonna, ai Depeche Mode… Noi, in Italia, abbiamo Ligabue (insieme a Vasco, ma verrà analizzato in un’altra occasione). Lui sarebbe la nostra (quindi anche MIA) icona?! Chi vi parla è uno che, oltre ad avere su cd tutto ciò che è stato inciso fino al 2007, ha nel suo raccoglitore delle memorabilia dei concerti cinque biglietti dei suoi live (compreso il primo “vero” Campovolo). Negli ultimi anni è evaporato dalle mie cerchie musicali, dagli artisti che mi piace “proteggere” o seguire o che comunque sento miei (e credo che per un artista non ci sia nulla di peggio di quando un tuo fan non si riconosce più in quello che sei e che rappresenti). Non penso sia dovuto alla sua età (Jagger è là a dimostrare che la carta d’identità non conta se trasudi personalità), al cambiamento generazionale di chi l’ascolta o a quello che va di moda. La mia idea è che Ligabue abbia abusato della propria immagine nel momento in cui la sua vena artistica ha imboccato la strada del declino. Per alcuni era già iniziata con “Miss Mondo”, quando in realtà quello è soltanto il suo primo album pubblicato da “star” e per forza di cose patinato a livello di produzione e del suono rispetto ai suoi album d’esordio ancora “grezzi”.  I primi segnali di serbatoio in riserva si erano sentiti in “Fuori Come Va?”, con alcune parti strumentali che trasudavano di “roba vecchia già ascoltata” (esempio più eclatante ne “Il Campo delle Lucciole”). Oh, sia ben chiaro: “gli accordi migliori rimangono sempre quei tre” è l’anticristo della musica rock, dove il mantenere la propria identità musicale non significa costruire canzoni solo su un determinato giro di note sempre. Dov’è la poliedricità? Dov’è il genio del musicista? Se quindi per le parti strumentali si sapeva già da inizio anni 2000 che ci si sarebbe dovuti accontentare più o meno sempre, l’unica forza Ligabue aveva ancora erano i testi. E Ligabue ha dimostrato di poter essere un ottimo cantautore, scrivendo canzoni che rimarranno nella memoria della gente alla pari di quelle di Battisti (o meglio Mogol) ad esempio. Negli ultimi anni però ha concretamente perso (anche) le parole. Girando sempre intorno ai soliti temi standard e trattandoli in maniera palesemente superficiale (innamoramento, amore non corrisposto o finito, io da solo contro il mondo ingiusto che mi tratta da reietto quando sono io che viaggio “in prima”) riesce a fare breccia nei cuori di chi vive la musica solo in maniera superficiale, ma francamente porta all’esasperazione chi cerca in un brano musicale molto di più e s’era abituato a trovarlo nelle sue canzoni. Non aiuta il fatto che negli ultimi tre anni la sua etichetta discografica ha deciso di mettere il pubblico “Sotto Bombardamento”, rilasciando: un cd e una riedizione deluxe dello stesso cd con dvd e parte acustica, nove singoli (nove singoli in tre anni per un artista rock è troppo: sono ritmi da cantante pop idolo delle teenager stile Rihanna), un triplo cd live, un film al cinema dal quale poi è stato ricavato un dvd/bluray in 3D, la ristampa di suoi cinque dvd live. Ma stiamo scherzando? Vedere che la gente continua a spendere soldi per ascoltare canzoni con basi ripetitive e con frasi profonde tipo “ora e allora e ancora così a rubare l’amore che si fa rubare” è deludente e fa riflettere sul perché il mercato discografico italiano è così in crisi e stagnante. Se dedichi così tanto spazio e così tante risorse economiche ai soliti musicisti come si può pretendere che ci sia un ricambio generazionale di talenti? I gruppi emergenti senza contratto partono sfavoriti rispetto ai fenomeni da reality e il concetto di concerto musicale per la gente è “andare ad ascoltare il Liga” (estrosità nel cantare e copertura delle note minima, estrosità nel suonare e capacità di improvvisazione minima, cura scenografica dello spettacolo minima) facendolo diventare il “re dei live”. Buonanotte all’Italia.